LA SALA DI RAFFAELLO
E NON SOLO
La storia degli allestimenti attorno a Raffaello
Lo Sposalizio della Vergine di Raffaello arriva alla Pinacoteca di Brera nell’ottobre del 1805, anno in cui il vicerè Eugenio di Beauharnais lo acquisì per la nuova Pinacoteca, dietro insistenza del suo direttore Giuseppe Bossi.
1809
Lo Sposalizio viene esposto nei saloni ottenuti trasformando la navata dell’antica chiesa gotica di Santa Maria di Brera in un moderno spazio museale.
Uno spazio dove – sotto l’egida del Napoleone come Marte Pacificatore di Canova – le glorie artistiche provenienti dalle regioni annesse al Regno di Italia, dovevano servire a edificazione e godimento per i cittadini e come modello per le nuove generazioni di artisti.
Ricostruendo l’assetto delle pareti attraverso le prime guide del museo, si evince che, nel 1809, al momento dell’inaugurazione, il dipinto di Raffaello aveva ottenuto un posto d’onore al centro della parete principale della sala a lui intitolata.
Nella fila inferiore lo Sposalizio viene posto accanto ad opere di altri esponenti del Classicismo rinascimentale, come Francesco Francia, e sotto un’opera del padre di Sanzio, l’Annunciazione di Giovanni Santi, proveniente da Senigallia.
1903
Allo scadere del secolo XIX, Corrado Ricci si dedica al riordino di Brera scandendo le collezioni secondo una progressione cronologica e raggruppandole per scuole regionali, in linea con i criteri più aggiornati della museografia contemporanea.
Raffaello è certamente inserito nella scuola umbra, ma ha comunque una sala dedicata ed è, come il grande storico dell’arte scrive,
solo nella sovrana dolcezza del suo Sposalizio della Madonna
Il quadro, appoggiato su una base e inserito in una teca chiusa da un cristallo, si staglia contro un parato riccamente drappeggiato di velluto verde, nella sala XXII, quella a lui dedicata.
Se un tale allestimento delle pareti era diffuso negli spazi espositivi ottocenteschi, le sedie a faldistorio, senza spalliera e con due braccioli, chiamate savonarola, alludono all’epoca del dipinto con un gusto storicista ormai comune anche nell’arredamento delle case borghesi.
1922
ETTORE MODIGLIANI
Nel 1922 il rifacimento dell’allestimento della sala di Raffaello, sotto la direzione di Ettore Modigliani, si avvale del progetto di Piero Portaluppi, che propone una nuova sistemazione, non priva di notazioni ironiche sulla popolarità dell’icona raffaellesca.
Lo Sposalizio di Raffaello viene inserito in un contesto dichiaratamente urbinate. Nasce l’abbinamento con la Pala di San Bernardino di Piero della Francesca – ancora considerata opera di fra’ Carnevale – e lo stendardo giovanile di Luca Signorelli.
L’allestimento ricalca uno degli spazi più celebrati del palazzo di Urbino, lo studiolo di Federico da Montefeltro. Le pannellature lignee, infatti, alludono alle tarsie; la partizione superiore della galleria fa riferimento a degli uomini illustri.
LA GUERRA E LA RICOSTRUZIONE DI BRERA
Durante la Seconda guerra Mondiale, il dipinto viene sfollato, insieme a molti altri della Pinacoteca, e ricoverato prima nella Villa Marini Clarelli a Perugia e poi nella Pinacoteca Vaticana.
I bombardamenti di Milano distruggono diversi spazi espositivi di Brera, rendendo necessario un ripensamento completo dell’allestimento della collezione, al termine del conflitto.
Nel dopoguerra, Piero Portaluppi viene chiamato a ricostruire gli spazi della Pinacoteca sotto la guida di Fernanda Wittgens. L’allestimento dello Sposalizio conferma l’abbinamento con Piero della Francesca, secondo la visione critica che considera il Sanzio erede delle vere istanze formali e intellettuali del grande pittore biturgense.
L’accostamento, a queste due opere, del Cristo alla Colonna di Bramante, tavola dipinta dall’architetto urbinate in Lombardia, esalta la presenza, in quest’immagine, dei temi della prospettiva e dell’architettura.
In questo nuovo progetto allestitivo, tuttavia, Portaluppi si ispira non più allo studiolo ma ai due tempietti di Palazzo Ducale: la cappellina del Perdono e il tempietto delle Muse, progettati da Francesco di Giorgio Martini per il duca Federico da Montefeltro.
Tale riferimento, fortemente spaziale e dimensionale, produce un ambiente assai più stilizzato, depurato da ogni elemento di arredo o di decorazione in stile. Il candore delle pareti allude, esso stesso, allo stato attuale delle sale del palazzo urbinate che, spogliate nel corso dei secoli dei loro arredi originali, vedono esaltata la forza e l’armonia proporzionale della loro architettura.
1977
PROCESSO PER IL MUSEO
In occasione della provocatoria chiusura della Pinacoteca, progettata da Franco Russoli, direttore del museo, per attirare l’attenzione pubblica sui problemi mai risolti di Brera e, più in generale, per discutere del ruolo del museo nella società contemporanea, Bruno Munari inventa uno strumento di lettura dello Sposalizio.
Qui ne privilegia ancora una volta la componente razionale, matematica e prospettica: una lettura storica per la quale la cultura figurativa della corte montefeltresca, attraverso l’influenza fiorentina e la presenza a corte di Paolo Uccello, Piero della Francesca, approda a Bramante e Raffaello.
L’esperimento vuole indurre il visitatore a una visione obbligata, mono oculare e da un unico punto di vista, probabilmente quello presupposto dal pittore per il dipinto, e che attraverso un reticolato di linee di riferimento sovrapposto all’immagine metta a nudo la costruzione geometrica e ne garantisca una visione ‘corretta’, efficace quanto artificiale.
ANNI ’80
Il riallestimento della Pinacoteca di Brera, dopo Processo al Museo, spetta a Carlo Bertelli, succeduto a Franco Russoli, tragicamente e prematuramente mancato. La sala di Raffaello è, anche in quell’occasione, e, come sempre, oggetto di particolare attenzione.
Eliminata la tavola di Bramante, reinserita nel percorso della pittura lombarda, il nucleo urbinate comprende di nuovo Piero della Francesca, Luca Signorelli e Raffaello.
Lasciato da parte ogni elemento figurativo usato a richiamare meccanicamente il contesto urbinate, la pura geometria bianca della sala – anche il pavimento è di pietra bianca a spacco – evoca solo concettualmente il rarefatto candore dei saloni di Palazzo Ducale.
In questo spazio depurato di ogni riferimento storico, perfino delle cornici che avevano avuto fin dall’origine della loro storia museale, i dipinti avrebbero dovuto esplicitare tutta la propria forza espressiva e formale, assoluti nel loro valore di classici senza tempo e nel loro isolamento, illuminati da una luce accuratamente calibrata – miscelando fonti naturali e artificiali – e proveniente da una sorgente a soffitto accuratamente schermata.
Il dipinto di Raffaello, privato della cornice realizzata a Milano nei primi anni dell’800, è posto alla stessa altezza che aveva nell’altare settecentesco del San Francesco a Città di Castello per evocare, sempre in maniera fortemente concettuale, l’origine storica della tavola.
OGGI
Le necessità quotidiane hanno imposto alcuni cambiamenti al progetto di Gregotti. L’afflusso del pubblico, aumentato anche rispetto ai primi anni ottanta, ha imposto la presenza di distanziatori a terra, mentre la cornice di Piero della Francesca è stata reinserita nella tavola per improrogabile necessità conservative, di sostegno e tutela della supporto ligneo stesso.