Bruno Munari

BRUNO MUNARI
A BRERA

Gli altri siamo noi

La storia di due menti brillanti che si incontrano in uno dei momenti chiave della Pinacoteca. Franco Russoli, il Processo per il Museo, i laboratori per bambini, Bruno Munari e la sua opera.

Occorre far capire che finché l'arte resta estranea ai problemi della vita, interessa solo a poche persone.
Bruno Munari
Bruno Munari

Nel 1956 Fernanda Wittgens, sentendo di essere giunta quasi alla fine della sua vita, si impegna affinché il suo successore alla direzione di Brera diventi Franco Russoli, “un uomo consapevole della necessità di fusione tra etica e intelletto”.

Anche Russoli, infatti, è fermamente convinto che la missione educativa del museo risieda nell’invitare il pubblico a essere un socio alla pari e attivo nella creazione della cultura. Vede il museo come un laboratorio vivente, un “banco di prova” per il pensiero critico e l’intelligenza visiva.

Così, da Direttore, nel 1974, decide di compiere un atto provocatorio: chiude temporaneamente la Pinacoteca – con il sostegno di tutto il personale e con l’appoggio degli Amici di Brera e dei Musei milanesi – “sia per le condizioni di fatiscenza ambientale, sia per segnalare l’impossibilità di un suo regolare funzionamento per mancanza di fondi, di impianti, di servizi e di personale”.

Veduta di una sala della mostra per Brera, 1974
Veduta di una sala della mostra per Brera, 1974
Giuseppe Marchitori e Franco Russoli
Giuseppe Marchitori e Franco Russoli, ©Archivio Franco Russoli

Vengono quindi messi in atto diversi progetti di intervento per migliorare su vari fronti le condizioni del complesso di Brera e due anni dopo, sul finire del 1976, inaugura, nelle sale della Pinacoteca la mostra Processo per il Museo.

In apertura, Russoli interviene dicendo:

Processo per il Museo - Brera, manifesto
Processo per il Museo - Brera, manifesto. Foto: Guia Sambonet
Coloro che operano nei musei rifiutano oggi il privilegio ambiguo dell’isolamento […] degli specialisti ‘puri’ che assicurano la creazione degli strumenti, senza controllare la loro utilizzazione sociale. Si rifiutano di agire come guardiani di luoghi di evasione o alienazione, o come servitori del consumerismo della cultura o dei poteri politici. Essi chiedono che vengano garantite le condizioni […] per fare del museo un luogo in cui la ‘riappropriazione’ pubblica dei beni culturali venga assicurata da una gestione a carattere sociale. […]

Da tale impostazione del concetto di museo deve partire la strategia che consenta di creare […] gli strumenti di lavoro per realizzare le tre diverse fondamentali funzioni del museo: la migliore tutela e esposizione al pubblico dei beni culturali; il lavoro di ricerca aperto a tutti gli interessati; l’inserimento delle opere per far sentire il pubblico come partecipe e ‘contemporaneo’ all’opera. Per fargli rivivere, cioè, la storia come attualità e problema.

Una mostra in cui si sperimenta esponendo i ‘processi’ intellettuali che scaturiscono dalle opere in una Brera come luogo di ‘cantiere’ per il confronto e il dibattito tra artisti, pubblico e discipline diverse.

Sala 24
Visualizzazione della struttura armonica dello Sposalizio della Vergine, Bruno Munari, 1976

Nel Processo per il Museo, per la presentazione di alcune opere, si scardina volutamente quel connubio tra spazio architettonico e sala, voluto nella sistemazione postbellica. Uno degli esempi più emblematici è sicuramente l’installazione che Munari realizza per guardare con occhi diversi lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, esposto nella Sala 24.

Bruno Munari, Venezia 1992, Strutture armoniche

Bruno Munari nel suo studio a Milano
Bruno Munari nel suo studio a Milano, 1988 (©Isisuf. Istituto internazionale di studi sul Futurismo)

Bruno Munari nasce a Milano nel 1907. Nel 1927 diventa un seguace di Marinetti e dei futuristi e, nel 1933, durante un viaggio a Parigi, conosce i surrealisti Louis Aragon e André Breton. Dal 1938 al 1943 lavora come grafico editoriale e art director per Mondadori. In quel periodo comincia a scrivere libri per l’infanzia, originariamente pensati per il figlio Alberto.

Negli anni Settanta, nel pieno del fermento di Brera, Bruno Munari collabora con Franco Russoli, creando una serie di laboratori didattici innovativi per i bambini che vengono presentati proprio negli spazi della Pinacoteca.

C'è sempre qualche vecchia signora che affronta i bambini facendo delle smorfie da far paura e dicendo delle stupidaggini con un linguaggio informale pieno di ciccì e di coccò e di piciupaciù. Di solito i bambini guardano con molta severità queste persone che sono invecchiate invano; non capiscono cosa vogliono e tornano ai loro giochi, giochi semplici e molto seri.
Bruno Munari
Bruno Munari

LABORATORIO PER BAMBINI

Con il sostegno degli Amici di Brera, Munari allestisce un laboratorio dove i bambini possono giocare con materiale strutturato: colori in pasta, in lastre, in polvere, in blocchi e con luci colorate.

Durante lo sviluppo del progetto iniziale Munari scrive:

Centomila visitatori al giorno non sono un successo per un museo. Tutte queste persone non rappresentano altro che un numero. Non tutti i visitatori di un museo sanno vedere le opere […] a causa di una educazione basata soprattutto sulla letteratura, cerca il racconto nell’arte visiva e non ‘vede’ perché non conosce i problemi, le regole di tutto ciò che da corpo a un opera d’arte visiva. […] E siccome è quasi impossibile modificare il pensiero di un adulto, noi ci dovremmo occupare dei bambini. […] Se noi ci preoccupiamo di cambiare la società in meglio, dobbiamo occuparci di questi individui che sono già qui con noi.
Bruno Munari
© Associazione Bruno Munari
Bruno Munari
© Associazione Bruno Munari

Munari indica anche cosa NON si deve fare nel laboratorio:
• NON si deve fare confusione, ogni argomento, ogni tecnica, ogni regola devono essere spiegate visivamente una alla volta, ben separati gli uni dagli altri.
• NON si deve spiegare a parole quello che si può spiegare dando l’esempio: invece di spiegare a parole in quanti modi si può usare un pennarello, si prende il pennarello e si fa vedere quanti tipi di segni diversi può fare […]
• NON bisogna di costringere il bambino a fare un esercizio: se lo si fa, poi lui lo vuole provare subito, non c’è bisogno di costringerlo a fare
• NON criticare o correggere i lavori dei bambini
• NON buttare a terra nulla, i rifiuti vanno nei cestini
• NON sporcare o sporcare il meno possibile. I bambini fanno quello che vedono fare dagli adulti
• E soprattutto NON suggerire mai ai bambini i soggetti dei loro disegni

Il gatto Meo Romeo di Bruno Munari
Il gatto Meo Romeo di Bruno Munari
Bruno Munari

Renate Ramge, la moglie di Umberto Eco, è una delle principali collaboratrici di Munari a Brera e ricorda che il laboratorio didattico:

È sorto in una landa deserta, totalmente deserta, tanto ai bambini quanto all’educazione artistica. Era una rivoluzione e aveva questo pregio di tirare fuori degli elementi dell'arte che potevano avvicinare le persone.
Bruno Munari

Alessandra Montalbetti, che oggi dirige la sezione didattica degli Amici di Brera, è una giovane collaboratrice di Munari ai laboratori e conserva memorie profonde di questa esperienza:

Nel 1977 ricordo che Bruno Munari ripeteva, come un mantra, un antico proverbio cinese ‘Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco’ e ci costringeva ad ascoltare i bambini e a lavorare con loro, mettendoci alla loro altezza - voleva dire accovacciarsi, sdraiarsi, sedersi per terra, in una pinacoteca di Brera che era ancora una turris eburnea solo per storici dell'arte ed adulti eruditi; per noi era un'esperienza nuovissima, perché non si parlava del nome del pittore o della sua storia o del titolo del dipinto o del secolo, ma era come se il dipinto venisse vissuto come qualcosa di vivo ed attuale. I bambini scoprivano i segni, le linee o i colori che ne catturavano l'immaginazione non riproducendo tutto il dipinto ma tracciando loro medesimi linee sui fogli e ritagliando forme che avrebbero ricostruito il quadro. Nei collage utilizzavamo stoffe e materiali diversi con i quali i bambini, e noi, scoprivamo per la prima volta di avere le dita e che cosa le nostre dita sentivano. Era la prima volta che in museo di arte non si usavano solo gli occhi ma tutto il corpo.
Bruno Munari
Nel 1981 ricordo la tensostruttura che si trovava al primo piano, nel Loggiato. Uno spazio esterno alla Pinacoteca dove alcuni alunni di una classe, usando tessuti e ‘oggetti di scena’, si preparavano ad interpretare i protagonisti di un dipinto, quale la Cena in Emmaus di Caravaggio o Il ritrovamento del corpo di San Marco di Tintoretto. Il resto della classe era coinvolto in qualità di regista e scenografo, per giustapporre i gesti dei bambini attori e cambiare qualcosa nella scenografia; quando il dipinto era simile se non uguale all'originale, allora si procedeva a dei cambiamenti per esaminare le reazioni dei bambini: una luce spostata, una luce più forte, un'espressione diversa erano sufficienti a far riflettere sulle emozioni.

Il laboratorio, aperto dal 15 marzo al 30 aprile 1977, riscuote grande successo. Purtroppo, il 21 marzo 1977, proprio pochi giorni dopo l’inaugurazione, Franco Russoli muore di infarto a soli cinquantaquattro anni.

Bruno Munari

L’OPERA DI MUNARI

Pablo Picasso lo definisce un Leonardo da Vinci contemporaneo e in effetti, Munari dà vita a una vulcanica produzione artistica, esposta in più di 200 mostre personali e 400 mostre collettive, davvero sorprendentemente eterogenea per tecnica, metodi e forme.

La sua opera è immensa e non è possibile riassumerla in poche righe. Di seguito sono riportate solo alcune delle sue creazioni.

SUPPLEMENTO AL DIZIONARIO ITALIANO – MUNARI E LA LINGUA DEI GESTI

Bruno Munari è fortemente interessato all’utilizzo dei gesti nella lingua popolare, molto evidente nella pratica Napoletana. Nel suo libro illustrato pubblicato nel 1957, Il Supplemento al Dizionario Italiano, Munari esamina i vari modi di esprimersi senza parlare, non solo con le mani, ma con l’espressione del viso e con atteggiamenti dell’intera persona.

Antichi gesti napoletani

Si legge nell’introduzione:

[...] Col passare del tempo e il diffondersi dei napoletani, molti di questi antichi gesti sono diventati di uso nazionale e alcuni addirittura sono capiti in molte parti del mondo. Ultimamente alcuni gesti di altri popoli del mondo, come il famoso O.K. americano, per cui abbiamo creduto opportuno raccoglierne il maggior numero, tralasciando i gesti osceni e volgari, per avere una documentazione il più possibile esatta, ad uso degli stranieri che visitano l'Italia o come supplemento al dizionario italiano.

MUNARI E LA FORCHETTA

La mano gioca un ruolo centrale nel pensiero di Munari come pedagogo, scrittore e designer ed è così che nella semplice forchetta egli scopre un aspetto antropomorfico divertente.

Il lusso è la manifestazione della ricchezza incivile che vuole impressionare chi è rimasto povero.
Bruno Munari
Bruno Munari forchette

Ogni oggetto può avere due aspetti: la forchetta può sembrare, ad esempio, una mano e assumere tutte le posizioni di quest’ultima. Munari consuma tutte le forchette di casa sua per dimostrarlo, facendo diverse prove. Ecco le migliori:

Bruno Munari, Venezia 1992, Forchette parlanti

Bruno Munari

Immagine in apertura di Bruno Munari © Giliola Chisté, courtesy Corraini Edizioni