Pietà, 1460 circa

Giovanni Bellini - Tempera su tavola - cm 86 × 107

La tavola, datata agli anni sessanta del Quattrocento, segna un evidente affrancamento dell’artista dalla lezione di Andrea Mantegna, cui egli era legato non solo da affinità culturali ma anche da stretti vincoli di parentela (ne era il cognato).

L’esempio dell’artista padovano è ben visibile nell’incisività delle linee di contorno e nella plasticità scultorea delle figure, trascinate in primo piano a invadere lo spazio dello spettatore; tuttavia, Bellini immerge la scena entro un’atmosfera fatta di luce naturale, ammorbidendo i toni e concentrandosi, più che sulla costruzione di un rigoroso spazio prospettico, sulla rappresentazione della dolente umanità dei protagonisti; egli crea così un linguaggio nuovo che diverrà, negli anni successivi, la sua personale e inconfondibile cifra stilistica. Properzio, il grande poeta di età augustea, fa allusione alla capacità dell’immagine di provocare il pianto nello spettatore, e ai suoi versi si rifà quanto è scritto nel cartiglio.

Questa è tra le opere d’arte che producono un tale effetto. Il dipinto, che faceva parte della collezione Sampieri di Bologna, fu donato a Brera nel 1811 dal viceré d’Italia Eugenio di Beauharnais.

Pietà
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