Cristo alla colonna, 1487 - 1490
Donato Bramante (Donato di Pascuccio) - Olio su tavola - 93,7 × 62,5
Bramante si era formato a Urbino, centro di studi matematici dove era maturato l’uso della prospettiva come forma di controllato ordinamento dello spazio dipinto. Giunto a Milano, l’artista approfondì queste conoscenze ricercando effetti visivi e illusionistici destinati a colpire le emozioni dello spettatore: il Cristo alla colonna può considerarsi un manifesto di tale innovativo linguaggio, grazie al quale la cultura artistica lombarda si aprì a inedite soluzioni di stampo rinascimentale. Al suo arrivo alla corte di Ludovico il Moro, Bramante lavorò come architetto a Santa Maria presso San Satiro, dove l’assenza dello spazio fisico in cui collocare l’emiciclo del coro suggerì la creazione di una finta volta in stucco che simulasse la dilatazione spaziale delle pareti della chiesa: la stessa idea di spazio ricreato illusionisticamente costituisce il tema portante del dipinto di Brera, dove alcuni espedienti compositivi – il corpo scultoreo che invade il primo piano, la finestra, la colonna che si estende oltre i limiti fisici del quadro – riescono a suggerire l’esistenza di un grande ambiente sorretto da colonne entro il quale si svolge il supplizio di Cristo.
Sollecitò la sensibilità di Bramante il confronto con le opere di Leonardo, che a Milano, negli stessi anni, dipingeva il Cenacolo e indagava le potenzialità espressive dei movimenti del corpo e delle espressioni del viso: nel Cristo alla colonna la plasticità scultorea di matrice urbinate si arricchisce pertanto di dettagli di sorprendente naturalismo, quali le carni strette dai lacci e le lacrime trasparenti, i cui effetti sull’emotività dello spettatore costituivano un’assoluta novità rispetto alla formazione di Bramante. L’opera è stata probabilmente eseguita nei primi anni novanta del Quattrocento.